IL PERCORSO DI SCREENING NEI TUMORI DEL COLON RETTO
Il carcinoma del colon-retto è il secondo tumore più frequente per insorgenza sulla popolazione generale.
Lo screening dei carcinomi colon-rettali mira a identificare precocemente le forme tumorali invasive, ma anche a individuare e rimuovere possibili precursori: i polipi.
Recependo le linee guida emanate dalla Commissione Oncologica Nazionale, le raccomandazioni del Ministero della Salute del 2006, il Piano Nazionale della Prevenzione e l’ultimo Piano Regionale della Prevenzione 2014-2018, lo screening deve essere implementato sull’intero territorio rispettando i seguenti requisiti organizzativi:
- Periodicità biennale
- Fascia di età raccomandata: 50 – 74 anni
- Test di screening: test immunochimico per la ricerca del sangue occulto fecale (SOF)
- Approfondimenti diagnostici nei soggetti positivi al test di screening: colonscopia eventualmente completata con colonscopia virtuale o clisma opaco a doppio contrasto.
La Regione Lazio ha attivato, sin dal 2005, uno studio di fattibilità (DGR 1740/02) per sperimentare diverse modalità organizzative per lo Screening del tumore del colon-retto. I risultati ottenuti hanno permesso di definire il nuovo Modello Organizzativo.
Modello Organizzativo e Protocollo Diagnostico-Terapeutico per i Programmi di Screening dei tumori del colon-retto
Basandosi sulle raccomandazioni del Ministero della Salute e sulle recenti Linee Guida Europee (2011) il gruppo di lavoro regionale, con il contributo delle società scientifiche (AIGO, SIED, SIGE, ISSE), del GISCoR (scheda GISCoR) e dell’Osservatorio Nazionale dello Screening, ha elaborato un documento che definisce il Modello Organizzativo e i protocolli diagnostico-terapeutici per garantire la qualità dei programmi di screening. A gennaio 2017 è stato emanato il DCA 30/2017 riguardante il percorso assistenziale per la prevenzione e la gestione del tumore del colon e del retto nel Lazio e che include il protocollo di screening e i protocolli di sorveglianza.
Il cancro colon-retto, ha origine quasi sempre da polipi adenomatosi, tumori benigni dovuti al proliferare delle cellule della mucosa intestinale, che impiegano mediamente tra i 7 e i 15 anni per trasformarsi in forme maligne. È in questa finestra temporale che lo screening consente di fare una diagnosi precoce ed eliminare i polipi prima che abbiano acquisito caratteristiche pericolose. I polipi, infatti, possiedono due proprietà che li rendono facili da individuare: tendono a sanguinare e sporgono dalla mucosa per cui sono visibili sulla sua superficie.
Per questa ragione i test di screening ora in uso sono:
- la ricerca del sangue occulto nelle feci
- la colonscopia
La rettosigmoidioscopia
La colonscopia vera e propria in Italia è consigliata soltanto in una seconda fase, se la ricerca del sangue occulto nelle feci ha dato esito positivo.
In alternativa, la cosiddetta colonscopia virtuale, per la quale non ci sono attualmente prove che sia superiore ai test in uso per i programmi di screening.
La ricerca del sangue occulto nelle feci
L’esame del sangue occulto nelle feci consiste nella ricerca, compiuta attraverso metodologie diverse, di tracce di sangue non visibili a occhio nudo in un piccolo campione di feci. Queste tracce possono essere dovute al sanguinamento di un polipo. In media, per ogni 100 persone che fanno l’esame, cinque sono positive. Non tutte, però, avranno polipi: le tracce di sangue possono essere dovute per esempio a emorroidi o a piccole lesioni dovute alla stitichezza, o a presenza di diverticoli. Inoltre l’esame non sempre è in grado di rilevare la presenza di un polipo: può, infatti, capitare che un polipo o una lesione tumorale siano presenti ma non sanguinino il giorno dell’esame. Per questo è importante ripetere lo screening alla periodicità consigliata. Nonostante i limiti, la ricerca del sangue occulto nelle feci è un ottimo esame di screening. Le tecniche di analisi più recenti, inoltre, hanno consentito di migliorarne ulteriormente l’efficacia e di ridurre i disagi per il paziente. Oltre ad avere una maggiore capacità diagnostica, infatti, i nuovi test consentono di raccogliere un unico campione di feci (e non tre, come avveniva fino a qualche anno fa), senza la necessità di osservare restrizioni alimentari.
Chi lo deve fare e quando?
La ricerca del sangue occulto nelle feci (in sigla SOF) viene consigliata dal Ministero della Salute ogni due anni nelle persone tra i 50 e i 69 anni.
Che cosa succede se è positivo?
Se questo esame rileva la presenza di sangue occulto, il protocollo degli screening invita a sottoporsi a una colonscopia. Questo esame, che consiste nella visualizzazione dell’intestino tramite un sottile tubo dotato di telecamera, è in grado di confermare o escludere la presenza di polipi. Nel primo caso, consente di rimuoverli nella stessa seduta.
La rettosigmoidoscopia
Circa il 70% dei tumori del colon-retto si sviluppa nella parte finale dell’intestino, ossia il sigma e il retto. Per questo in alcuni programmi di screening è in uso, al posto della ricerca del sangue occulto nelle feci, la rettosigmoidoscopia (o rettoscopia). Si tratta di un esame analogo alla colonscopia, ma che esplora soltanto questa porzione dell’intestino. Rispetto alla colonscopia si tratta di un esame più accettabile per il paziente, poiché richiede una preparazione meno fastidiosa nei giorni precedenti all’esame e dura circa la metà del tempo. Inoltre, ha un’efficacia diagnostica maggiore rispetto alla ricerca di sangue occulto e consente di rimuovere nella stessa seduta gli eventuali polipi riscontrati.
Chi la deve fare e quando?
La rettosigmoidoscopia viene effettuata una sola volta nella vita, tra i 58 e i 60 anni e se risulta negativa non deve essere ripetuta. Gli studi fin qui condotti, infatti, suggeriscono che offra una protezione superiore ai 10 anni.
Quali sono i limiti?
Nonostante questi vantaggi, che si traducono in una riduzione della mortalità per cancro al colon del 45%, la rettoscopia ha un limite significativo: non è in grado di individuare i polipi e i tumori che insorgono nella parte più alta del colon-retto. Anche per questa ragione, nelle persone che presentano alla rettoscopia polipi di dimensioni di 1 cm o più oppure anche più piccoli, ma con caratteristiche particolari, viene consigliata una colonscopia.
La colonscopia e la colonscopia virtuale
Se fosse l’efficacia diagnostica l’unico parametro da considerare nell’adozione di un esame all’interno di un percorso di screening, la colonscopia sarebbe il test ideale nella diagnosi precoce del tumore del colon-retto: consente di rilevare quasi la totalità dei polipi ed eventualmente di rimuoverli. Inoltre è pratica perché può essere effettuata una volta sola nella vita. Tuttavia non è così. La scelta di un’indagine da impiegare in un contesto di screening è sempre il frutto della valutazione del rapporto tra benefici e costi. E se la colonscopia ha altissimi benefici, altrettanto alti sono i costi, sia per il paziente, sia per il servizio sanitario.
Innanzitutto, a causa della sua invasività, la colonscopia è un test difficilmente accettabile da una popolazione fino a prova contraria sana: comporta disagi legati alla sua preparazione e alle modalità di esecuzione. Inoltre, seppur rari e per lo più ridotti, non è esente da rischi. Infine, il tempo di esecuzione del test (e di conseguenza il numero di specialisti da dedicare) lo rende un esame costoso dal punto di vista economico. Per tutte queste ragioni, a oggi, la colonscopia non è impiegata all’interno di programmi organizzati di screening come primo esame (solo in SOF positivi). Tuttavia, si sta esplorando la possibilità dell’impiego della colonscopia virtuale, vale a dire una TC in grado di fornire una visualizzazione tridimensionale della parete interna dell’intestino.
La colonscopia virtuale promette dei vantaggi sia rispetto al test del sangue occulto nelle feci, dal momento che è molto più accurata e consentirebbe di anticipare la diagnosi, sia rispetto a colonscopia e rettoscopia: è, infatti, meno invasiva e quindi potrebbe essere meglio accettata dalla popolazione. Tuttavia, la reale efficacia dell’esame è ancora poco conosciuta (per esempio non è chiara la sua capacità di rilevare i polipi più piccoli) e non manca di limiti: la colonscopia virtuale, a differenza di quella tradizionale, utilizza radiazioni ionizzanti e una volta identificato un polipo non consente di eliminarlo. Per farlo è necessario ricorrere all’esame tradizionale con un aumento dei disagi per l’utente (che si sottopone a una doppia preparazione) e di costi. Per fugare questi dubbi sono attualmente in corso diversi studi i cui risultati sono attesi nei prossimi anni.
Efficacia dello screening del colon-retto.
L’attivazione di programmi organizzati di screening oncologici di popolazione riduce la mortalità per tumore. Lo sottolineano in particolare i risultati di uno studio sullo screening del colon-retto condotto in Toscana dall’Istituto per lo studio e la prevenzione oncologica di Firenze (Ispo). La ricerca è stata pubblicata sul Journal of the National Cancer Institute.
Diversi studi randomizzati hanno dimostrato l’efficacia del test del sangue occulto nelle feci per la riduzione della mortalità per tumore colon-rettale. Tuttavia, l’impatto di un programma di screening di popolazione non era ancora mai stato oggetto di valutazione. Per questo, i ricercatori dell’Ispo hanno esaminato i tassi di mortalità per tumore del colon-retto relativi al periodo 1985-2006 in due aree geografiche nelle Province di Firenze e Prato. Nelle due zone i programmi di screening per il carcinoma del colon-retto sono stati avviati in tempi diversi: nell’area Empoli-Mugello nei primi anni Ottanta; nel resto delle province di Firenze e Prato, invece, nei primi mesi del 2000. Nel complesso, tra il 1985 e il 2006, si è registrato un calo maggiore (13%) nella mortalità per tumore del colon-retto nell’area Empoli-Mugello rispetto al resto delle Province di Firenze e Prato. Nell’area Empoli-Mugello, dove sin dai primi anni Ottanta sono state sottoposte al test del sangue occulto fecale circa 17.500 persone ogni anno, si è riscontrato un calo annuale nel tasso di mortalità per tumore del colon-retto del 2,7%. Nel resto delle Province di Firenze e Prato, dove il programma di screening è iniziato 15-20 anni più tardi, e dove dal 2000 sono state sottoposte al test circa 38 mila persone, la riduzione annuale ammonta invece all’1,3%.
I risultati dello studio rafforzano quindi l’ipotesi che l’attivazione precoce di screening di popolazione per il carcinoma del colon-retto si associ a riduzioni significative della mortalità.
Dr.ssa De Felici
Dirigente di I° Livello UOC di Gastroenterologia ed Endoscopia digestiva Ospedale Sandro Pertini