Approfondimenti e Patologie

La Pancreatite Acuta

Nel corso degli ultimi due decenni i notevoli progressi nelle conoscenze della fisiopatologia e del trattamento della pancreatite acuta hanno necessitato  l’assoluta razionalità all’iniziale valutazione e trattamento in ambiente internistico dei pazienti. Questo dato ha di fatto rivoluzionato l’approccio alla pancreatite acuta  che fino a qualche anno fa, come noto, era in primis affrontata in reparti chirurgici. Tale patologia è  caratterizzata da un’espressività clinica assai eterogenea, si può in buona sostanza estrinsecare in forme lievi, a prognosi assolutamente favorevole, e forme gravi, associate tuttora a un’elevata morbilità e mortalità.

Ci sono due forme di Pancreatite Acuta:

  • Le forme lievi costituiscono il 70-80% circa di tutti i casi osservati (85,8% in una recente casistica nazionale sono caratterizzate sul piano patologico da edema interstiziale più o meno associato a steato-necrosi peripancreatica e si risolvono di regola in pochi giorni; per queste forme il problema clinico più importante è stabilirne l’eziologia, e  quindi, il rischio di recidiva.
  • Le forme gravi sono associate nella quasi totalità dei casi a necrosi pancreatica più o meno estesa, con possibilità di diffusione di raccolte necrotiche in aree peripancreatiche, coinvolgimento di strutture anatomiche viciniori e comparsa di complicanze locali. Inoltre , in relazione ai meccanismi patogenetici propri delle forme più impegnative di malattia, possono comparire precocemente complicanze sistemiche con insufficienza di uno o più organi a distanza e sostanziale aggravamento della prognosi. Sono proprio queste temibili complicanze che vedono impegnato l’internista in prima battuta o quale coordinatore di un team pluridisciplinare coinvolgente chirurghi, endoscopisti, radiologi, internisti nel tentativo di arginare la compromissione multiorganica, stabilizzare il quadro clinico e prevenire ulteriori complicanze.

 

Caratteristiche cliniche della pancreatite acuta grave

Dati epidemiologici internazionali indicano che i fattori eziologici delle forme gravi di Pancreatite Acuta  non si discostano in percentuale da quelli che sono i fattori causali in generale della pancreatite acuta.  Fattori eziologici della pancreatite acuta sono:

– Colelitiasi, incluse microlitiasi e sludge biliare (60-80%)

-Forme idiopatiche (15-20%)

-Cause meno comuni (< 10%)

Alcol Iperdislipidemia Post-CPRE Postchirurgia

-Cause poco comuni (< 3-5%)

Pancreas divisum Secondarie a traumi. Farmaci e tossine. Disfunzione dello sfintere di Oddi Neoplasie periampollari Diverticoli paravateriani Neoplasie pancreatiche

Vasculiti.  Difetti genetici.

-Cause rare (< 1%)

Infettive: Coxsackievirus, varicella, Human Immunodeficiency Virus, parassitarie

-Autoimmuni:

LES, sindrome di Sjögren

 In Italia è stato segnalato, invece, come l’eziologia biliare sia significativamente più frequente nelle forme gravi.  La ricerca delle cause di malattia è molto importante sul piano pratico, non solo per le eventuali diversificazioni nelle misure terapeutiche da approntare, ma anche per annullare, quando possibile, il fattore causale ed evitare pericolose recidive. È opportuno, quindi, mettere in atto una serie di indagini utili a definire l’eziologia dell’episodio acuto.  All’esordio la malattia si manifesta con il classico corteo sintomatologico caratterizzato da dolore addominale (prevalentemente a sbarra e a irradiazione posteriore, intenso resistente agli antispastici, della durata di ore o giorni), discanalizzazione fino all’ileo paralitico, meteorismo; meno frequentemente sono presenti vomito peritonismo e grave senso di prostrazione. Il paziente si presenta spesso febbricitante: la temperatura corporea in genere non supera i 38 °C e non è di regola espressione di eventi infettivi, ma è in relazione con la liberazione di varie citochine in circolo. La contemporanea presenza di febbre, leucocitosi, dolore addominale con segni più o meno sfumati di peritonismo può condurre del tutto impropriamente a un intervento chirurgico esplorativo; a tutt’oggi tale evenienza non costituisce un evento eccezionale nella pratica clinica italiana. Già nelle prime ore o giorni si possono evidenziare segni e sintomi di compromissione di vari organi e apparati a distanza. Dal punto di vista cardiocircolatorio possono manifestarsi tachicardia, ipotensione arteriosa persistente fino allo shock (da ipovolemia per sequestro di fluidi nel “terzo spazio” e da liberazione di sostanze vasoattive), tachiaritmie da disiidratazione, scompenso cardiaco (in genere solo in presenza di concomitante versamento pericardico). Di frequente si riscontrano versamento pleurico (in genere bilaterale) con dispnea a riposo, tachipnea e alterazioni emogasanalitiche secondarie; più raramente si osservano addensamenti polmonari precoci.

INDAGINI

-Anamnesi dettagliata personale, familiare e farmacologica;

-Indagini biochimiche: amilasi, lipasi, test epatici, lipidemia, calcemia

-Ecografia addominale

-Tomografia computerizzata addominale

-Colangio-pancreatografia in risonanza magnetica

-Ecoendoscopia

Colangio-pancreatografia in risonanza magnetica

con stimolo secretinico

-Colangio-pancreatografia retrograda endoscopica*

-Test secretina/ultrasuoni/ecoendoscopia*

-Manometria dello sfintere di Oddi

-Titolazioni degli anticorpi virali

-Marker di autoimmunità

-Anticorpi antitransglutaminasi

-Dosaggio dell’alfa-1-antitripsina

-Test tubeless per pancreatite cronica (elastasi fecale)*

Note:

* Indagini da approntare a distanza dall’episodio acuto.

L’abnorme distensione addominale contribuisce notevolmente alla genesi e al mantenimento della dispnea. A livello renale vi può essere oligoanuria a genesi multifattoriale con secondaria insufficienza renale. Possono comparire anche turbe coagulative con manifestazioni cutanee e sistemiche per innesco di una sindrome da coagulazione intravascolare disseminata. Piuttosto rare sono invece le alterazioni a carico di fegato, occhio e sistema nervoso centrale.

La temibile Multi-Organ Failure (MOF) è data  dalla contemporanea presenza di due o più insufficienze d’organo nell’ambito di una sindrome da risposta infiammatoria sistemica persistente, e la sua comparsa si correla significativamente con la mortalità. Dopo i primi giorni di malattia possono comparire altre complicanze, fra le quali infezioni sistemiche (essenzialmente urinarie e polmonari, meno frequentemente biliari), infezioni locoregionali (in primis infezione delle necrosi pancreatiche e delle raccolte fluide peripancreatiche), complicanze vascolari (trombosi dei vasi peripancreatici). L’infezione delle necrosi pancreatiche, se non adeguatamente trattata, può dare esito a shock settico con prevalente compromissione renale e respiratoria.

 

VALUTAZIONE DI GRAVITA’

Una corretta valutazione della gravità di un episodio di pancreatite acuta costituisce un punto cruciale nel management complessivo di ogni singolo evento morboso. L’identificazione dei pazienti a rischio di sviluppare un attacco grave dovrebbe essere quanto più precoce possibile, in linea teorica al momento stesso in cui viene posta la diagnosi di Pancreatite. Durante la prima settimana, la distinzione tra forme gravi e non gravi si basa essenzialmente sulla possibile insorgenza di insufficienza d’organo. In base a questi presupposti, le forme lievi vengono definite dall’assenza di insufficienza d’organo, o dalla presenza di insufficienza d’organo la cui durata non superi le 48 ore. Negli ultimi anni, difatti, si sono resi disponibili sostanziali contributi clinici che hanno messo in evidenza come il ruolo prognostico più sfavorevole sia rivestito non tanto dalla comparsa di una o più insufficienze d’organo, ma dalla loro persistenza oltre 48 ore . Ne deriva l’importanza, in primis, di un’attenta e ripetuta valutazione clinica. Un metodo ancora più semplice, utile all’ingresso del paziente in ospedale, consiste nel valutare la contemporanea presenza di impegno respiratorio (in termini di versamento pleurico e/o addensamenti polmonari) e di un valore di creatinina sierica > 2 mg/dL. Questo indice ha dimostrato la sua efficacia prognostica (corretta previsione non solo di forme gravi sul piano morfologico, ma anche di mortalità).  Un altro semplice dato clinico da valutare è l’obesità, la cui presenza costituisce un fattore accertato di rischio per sviluppo di pancreatite acuta grave  La presenza di necrosi pancreatica/peripancreatica e la sua estensione sono da tempo state individuate fra i maggiori fattori prognostici negativi nella pancreatite acuta. La TAC  con bolo di contrasto  costituisce il gold standard per l’identificazione e la quantificazione dei processi necrotici ghiandolari e perighiandolari. Tale indagine va senz’altro effettuata preferibilmente in terza-quarta giornata di malattia, poiché per esami più precoci è alta la probabilità di una sottostima dell’entità della necrosi. La TC-mdc può essere poi ripetuta nel tempo sulla scorta dei dati clinici per monitorare il processo necrotico e identificare eventuali complicanze locoregionali. Questa metodica permette di calcolare, in base alle caratteristiche della necrosi pancreatica e delle raccolte fluide peripancreatiche, uno score prognostico assai valido e semplice nella sua formulazione.

 cuase pancreatite acuta

TRATTAMENTO INTENSIVO-CONSERVATIVO

La terapia medica intensivo-conservativa costituisce il trattamento di base della pancreatite acuta grave, sia al momento della presentazione sia durante tutto il decorso clinico. Procedure invasive percutanee, perendoscopiche, laparotomiche trovano indicazioni precise. In premessa occorre sottolineare che un fattore che condiziona notevolmente l’efficacia delle misure terapeutiche conservative è il ritardo di ospedalizzazione dopo la comparsa dei primi sintomi o il ritardo nel porre  una diagnosi corretta.  Ciò deve indurre ad attuare un trattamento “specifico” quanto più precoce possibile e nel contempo conferma quanto sia inutile e dispendioso utilizzare questi stessi farmaci in pazienti che giungano tardivamente all’osservazione, spesso in seconda settimana di malattia, in una fase in cui il danno d’organo a distanza è già ben evidente e stabilizzato. In quest’ultimo scenario clinico il trattamento dovrà essere più razionalmente rivolto a misure di supporto cardiocircolatorio, respiratorio e renale e alla prevenzione delle complicanze settiche.

 La gestione del complesso di queste misure terapeutiche può essere effettuata in reparti di Medicina d’Urgenza o di Medicina Interna adeguatamente attrezzati, anche se una certa percentuale di pazienti (non superiore al 25-30%) può richiedere periodi temporanei di ricovero in Unità di Rianimazione o Terapia Intensiva.  Nella pratica quotidiana assumono grande rilievo una frequente rivalutazione della quota di fluidi da infondere, una somministrazione generosa di O2 (particolarmente nelle prime 24- 48 ore), una precisa correzione delle alterazioni elettrolitiche e metaboliche e un attento monitoraggio dei parametri vitali. Nella pancreatite acuta  lieve, il problema nutrizionale e di supplementazione idroelettrolitica è assolutamente marginale, in quanto di regola la ripresa dell’alimentazione per os avviene in pochi giorni, non appena si hanno scomparsa della nausea e del vomito, attenuazione del dolore addominale e regolari movimenti peristaltici. Nella pancreatite acuta  grave, invece, anche in caso di un decorso senza complicanze di rilievo, la sospensione dell’alimentazione per os dura in media 1-2 settimane; di conseguenza, è opportuno provvedere all’uopo mediante nutrizione parenterale totale  o nutrizione enterale. Negli ultimi anni diversi studi hanno comparato la nutrizione parenterale totale alla nutrizione enterale nella pancreatite acuta mostra come nei pazienti nutriti con sondino enterale si osservi una riduzione del tasso di infezioni e della necessità di intervento chirurgico.  I trial clinici, che dimostrano ciò,  sono sottodimensionati dal punto di vista casistico; inoltre, nella pratica quotidiana è frequente osservare:

  • intolleranza all’alimentazione enterale.
  • difficoltà al posizionamento del sondino digiunale e sua frequente dislocazione.
  • impossibilità a mantenere un’adeguata supplementazione fluida solo con la nutrizione enterale;
  • contemporanea necessità di mantenere ugualmente un accesso venoso centrale per supplementazioni elettrolitiche e somministrazione di vari farmaci.

Per questi motivi la nutrizione parenterale totale  resta a tutt’oggi la procedura di alimentazione più utilizzata nella pratica clinica. La supplementazione di fluidi è cruciale soprattutto nei primi giorni di malattia, allorquando si può avere necessità di infondere 5 L/die o più. L’ipovolemia, se non adeguatamente corretta, compromette il microcircolo pancreatico e può innescare/incrementare i fenomeni di necrosi. Oltre alla valutazione clinico-laboratoristica (ipotensione arteriosa, tachicardia, oliguria, incremento dei parametri renali), è assai utile nel monitoraggio della terapia la semplice determinazione seriata dell’ematocrito. La supplementazione di O2 si rende necessaria in molti pazienti nelle prime 24-48 ore e può essere guidata da misurazioni ripetute mediante pulso-ossimetro digitale. Una ipossia progressiva, come già accennato, richiede il trasferimento in area di rianimazione per una possibile ventilazione meccanica. I versamenti pleurici non vanno sottoposti a toracentesi, tranne in casi selezionati che presentino grosse quantità di liquidi capaci di compromettere in modo sostanziale la ventilazione. All’ingresso, periodicamente nelle prime 48 ore  devono essere effettuate valutazioni emogasanalitiche  con lo stretto monitoraggio degli elettroliti sierici. Le alterazioni di più frequente riscontro sono alcalosi metabolica, acidosi respiratoria, ipocalcemia (da valutare in rapporto all’ipoalbuminemia), ipopotassiemia, ipomagnesiemia, iperglicemia. Vi può essere ipertrigliceridemia, iperlipoproteinemia  Il controllo della sintomatologia dolorosa è un punto cardine nella terapia conservativa della  pancreatite  acuta  grave. Possono essere impiegati vari farmaci: antinfiammatori non steroidei, oppioidi o loro combinazioni.  Il presupposto secondo cui ridurre la stimolazione della secrezione pancreatica migliora il decorso della  pancreatite acuta appare logico e razionale, pertanto esso costituisce parte del trattamento medico da molti anni a questa parte. Il presidio più semplice consiste nel mettere a digiuno il paziente; anche per la presenza di nausea e dolore addominale. Inoltre è  importante l’aspirazione nasogastrica e la somministrazione di antagonisti H2-recettoriali o inibitori di pompa protonica. Non vi sono dati di evidence-based medicine che dimostrino la validità di queste due procedure, però la pratica clinica suggerisce largamente il loro impiego.

Un altro punto “caldo” nel trattamento della  pancreatite acuta grave concerne i farmaci antiproteasici. Fra le varie linee guida nazionali e internazionali pubblicate, raccomandano l’uso del gabesato mesilato. La sua attività farmacologica si basa non solo sull’ampio spettro di inibizione degli enzimi pancreatici sierici (inclusa la fosfolipasi libera e legata), ma anche sull’effetto miorilassante dello sfintere di Oddi, sull’effetto positivo sul microcircolo pancreatico e sull’azione di riduzione delle citochine proinfiammatorie. Anche l’uso degli antibiotici a scopo profilattico, per prevenire la temibile complicanza costituita dall’infezione delle necrosi pancreatiche, resta un punto su cui non vi è ancora un accordo completo da parte delle diverse Società  Scientifiche. Fra gli obiettivi primari del trattamento intensivo-conservativo viene indicata la rimozione dell’agente causale di malattia, quando possibile. Nella pratica clinica ciò si traduce essenzialmente nella valutazione della pancreatite acuta biliare, caso in cui vi è una chiara indicazione alla colangiografia retrograda endoscopica con sfinterotomia in fase precoce (possibilmente entro 72 ore dalla comparsa dei sintomi) in presenza di ostruzione biliare o colangite. La rimozione precoce di eventuali calcoli nella via biliare principale comporta di regola un beneficio clinico immediato, spesso già riscontrabile entro 24 ore dalla procedura. Nei pazienti con colecisti calcolotica vi è una chiara indicazione alla colecistectomia con una tempistica differente a seconda della gravità della pancreatite acuta. Nelle forme lievi è possibile procedere all’intervento chirurgico nella stessa ospedalizzazione (entro 1-2 settimane dall’esordio); nelle forme gravi invece è necessario che trascorra un periodo di 6-8 settimane dalla guarigione clinica. Nei pazienti con calcoli in colecisti, ma ad alto rischio chirurgico anche per una semplice colecistectomia, è opportuno procedere a sfinterotomia endoscopica biliare allo scopo di ridurre l’incidenza di recidive. La storia naturale delle necrosi è alquanto variabile, in quanto esse possono produrre sintomi, diventare infette o rimanere asintomatiche. Nel tempo vi è una tendenza all’organizzazione e demarcazione del materiale necrotico, che passa da una componente prevalentemente solida a una prevalentemente liquido-viscosa con rari gettoni solidi.  La TC-mdc ha quindi un ruolo fondamentale nel monitorare la progressione della necrosi pancreatica; ugualmente utile nel monitoraggio è la risonanza magnetica, che meglio discrimina le componenti fluide ed è pertanto di valido aiuto nel programmare interventi invasivi di drenaggio extrachirurgici. L’unica indicazione assoluta, chiaramente espressa in tutte le linee guida e raccomandazioni internazionali, alla terapia chirurgica nella pancreatite acuta  grave è la comparsa di infezione delle necrosi pancreatiche ed extrapancreatiche. In presenza di tale complicanza, dimostrata da un esame colturale su materiale raccolto con agoaspirato percutaneo eco o TAC-guidato, o sospettata per sepsi persistente, il trattamento standard attuale è rappresentato dall’intervento chirurgico. Tale intervento consiste in un’ampia laparotomia con esposizione completa della loggia pancreatica e nella rimozione del tessuto pancreatico necrotico. Questo è il motivo per cui l’intervento chirurgico non va eseguito precocemente (in particolare nelle prime 2 settimane dall’esordio della pancreatite acuta ), ma va differito il più possibile, compatibilmente con il quadro clinico. L’intervento va poi completato con il posizionamento di drenaggi a doppio lume attraverso cui eseguire un lavaggio continuo postoperatorio. Di recente si è sviluppata la tendenza a utilizzare metodiche operatorie cosiddette “mininvasive”; in particolare, negli ultimi anni, è stata proposta l’esecuzione di una necrosectomia videoassistita con approccio retroperitoneale. Tale tecnica consiste nell’accedere allo spazio retroperitoneale attraverso piccole incisioni posteriori sottocostali; in una di esse si introduce un laparoscopio, mediante il quale si attuano la necrosectomia e il posizionamento di cateteri di drenaggio/lavaggio. Ulteriori tecniche interventistiche meno invasive comprendono il trattamento percutaneo e quello endoscopico transmurale. Il trattamento percutaneo, inteso come drenaggio con uso di larghi cateteri posizionati sotto guida radiologica guidato dall’ecografia  o dalla Tac, può essere efficace in tutti i tipi di raccolte fluide pancreatiche, incluse le pseudocisti. Il trattamento endoscopico è relativamente meno invasivo rispetto al trattamento chirurgico e, rispetto al trattamento percutaneo, evita il potenziale problema della formazione di fistole esterne .L’utilizzo dell’ecoendoscopia per delineare il tragitto dell’ago esploratore ha reso ancora più sicuro questo tipo di trattamento, che resta comunque attuabile solo in gruppi selezionati di pazienti. I rari eventi emorragici da rottura di aneurismi dei vasi addominali indotti dalla pancreatite acuta  devono essere aggrediti chirurgicamente se le tecniche di radiologia interventistica non riescono a bloccarli. È anche probabile che importanti raccolte necrotiche in stretta vicinanza di grossi vasi addominali (ilo splenico, vena porta), soprattutto in soggetti giovani, debbano preferenzialmente trovare una soluzione chirurgica. Tuttavia è altrettanto vero che raccolte necrotiche che rimangono sterili rispondono bene alla terapia conservativa, che pseudocisti post-pancreatite acuta  possono riassorbirsi nel tempo se di piccole dimensioni (< 5 cm)  e che condizioni di insufficienza multiorgano già in atto vengono solo aggravate da un intervento chirurgico, spesso indicato in queste fasi solo da motivazioni medico-legali.

Conclusioni

In conclusione, quanto fin qui discusso vale a sottolineare, in estrema sintesi, i seguenti punti:

  • la pancreatite acuta grave resta fondamentalmente una problematica di prevalente interesse internistico;
  • il trattamento intensivo-conservativo è complesso e richiede conoscenze multiple e un’esperienza clinica specifica;
  • le procedure invasive chirurgiche e interventistiche non laparotomiche sono da riservare solo a una piccola parte dei pazienti. Data la complessità assistenziale, diagnostica e terapeutica, il paziente con pancreatite acuta grave deve essere ricoverato solo in ospedali adeguatamente attrezzati ove siano attuabili procedure sofisticate 24 ore su 24 e dove un team multidisciplinare affiatato e abituato a pazienti potenzialmente critici possa affrontare le varie complicanze della malattia.
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